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Il fascino del sinfonismo tardoromantico (recensione del concerto del 21 ottobre)

Verso la fine dell’Ottocento, Franz Liszt, Johannes Brahms e Pëtr Il’ič Čajkovskij, scrissero alcune tra le più belle composizioni dell’epoca. A rievocarne la solennità ed a tramandarne la gloria ci ha pensato ieri, venerdì 21 ottobre, l’Orchestra Sinfonica del Conservatorio “Luisa D’Annunzio” di Pescara . “Il Grande Sinfonismo”, questo il titolo dell’evento andato in scena al Teatro dei Marsi di Avezzano, ha permesso alla numerosa platea accorsa di vivere le stesse sensazioni che, molto probabilmente, avrebbe vissuto chi si fosse trovato ad ascoltare tali opere all’interno di un teatro ungherese, austriaco, tedesco o russo di quegl’anni.

L’Orchestra, diretta da Nicola Paszkowski, ha incantato il pubblico con una prestazione di gran classe, aprendo la serata con il Poema Sinfonico n.3, tra i più celebri Preludi di Liszt, il quale, citando il poeta francese Lamartine, descrisse così la sua opera: “La vita non è altro che una serie di preludi a quel canto sconosciuto di cui la morte intona la prima e solenne nota”. L’esecuzione, durata circa quaranta minuti, nel suo continuo alternarsi di tempi – controtempi, e in cui gli archi hanno rivestito un ruolo dominante, ha tenuto incollata alle proprie poltrone l’audience presente in sala, suscitando in essa le emozioni più disparate.

Dopo una breve pausa, l’Orchestra è rientrata sul palco marsicano per l’Ouverture Tragica  di Johannes Brahms, che scelse questo titolo per dare enfasi al turbolento tema della composizione e quasi a voler contrastare un altro pezzo, scritto lo stesso anno (1880) che, invece, aveva un carattere più esuberante. Il suo obiettivo era quello di colpire l’emotività del pubblico, facendo leva sul flusso di emozioni che l’Ouverture provoca nell’ascoltatore. Tale obiettivo, ovviamente, al giorno d’oggi non potrebbe essere raggiunto se a eseguire l’opera non vi fosse un’Orchestra dalle qualità sopraffine come quella abruzzese.

Terza ed ultima esecuzione è stata infine la Sinfonia n.6 in si minore, op. 74 “Patetica” di Pëtr Il’ič Čajkovskij  (e tra il pubblico già si potevano udire i primi, positivi commenti, quasi a voler far sì che lo spettacolo non giungesse al termine). Il lavoro del compositore russo si contraddistingue per una storia caratterizzata da un velo di drammaticità e da un pizzico di romanticismo, probabilmente perché egli la scrisse proprio pochi mesi prima di morire. Eseguita per la prima volta in una fredda sera di ottobre nel lontano 1893 a San Pietroburgo, la “Patetica” è considerata come l’apice compositivo del musicista di Votkinsk il quale, forse per l’eccessivo amore nei confronti della sua arte, ricercò, fino al giorno della sua morte, la perfezione assoluta Ma solo chi è dotato di una classe eterea può trasformare la morte in un capolavoro ed è per questo motivo che Čajkovskij, prendendosi gioco di essa, è riuscito a scrivere una delle pagine più belle della musica ottocentesca. E, a distanza di oltre un secolo, il suo epitaffio continua a lasciare a bocca aperta.

Serata di grandi emozioni, dunque, con un pubblico talmente attento da lasciarsi irrimediabilmente rapire da una musica meravigliosa che non conosce l’incalzare del tempo.

(a cura di Federico Falcone)

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