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Il programma eseguito dalla Symphonic Band del Conservatorio Casella

NOTE DI PROGRAMMA A CURA DI MICHELANGELO MULIERI

MOZART – Sinfonia del Flauto Magico KV 620   Se nelle opere italiane Mozart aveva potuto abbattere le barriere dei generi fino al loro intreccio e fusione, facendo dei pezzi d’insieme il culmine dell’azione e della sintesi drammatica il momento di massima tensione musicale, nel Flauto magico non esisteva un terreno già coltivato da rimestare, né una tradizione su cui riflettersi. Semmai c’era un genere da fondare: quello della “Deutsche Oper”, nome col quale Mozart registrò Die Zauberflöte nel catalogo delle sue opere alla data del luglio 1791, quando ne cominciò la strumentazione. Opera tedesca non significava però automaticamente fondazione di un genere ma semplicemente scelta, oltre che di una lingua, di una forma e di uno stile. La forma era quella del Singspiel, ossia una forma non interamente musicata ma comprensiva di dialoghi parlati e di musica; lo stile era quello della Zauberoper, l’opera di argomento magico, mistura di tragico e di comico, di ‘meraviglioso’ e di bonaria trivialità, nella quale elementi fiabeschi intercalati a caratteri allegorici si esprimevano in un tono popolare non di commedia realistica ma di racconto fantastico, senza spazio né tempo reali. Componendo l’Ouverture per ultima, due giorni prima che l’opera venisse rappresentata al Theater auf der Wieden il 30 settembre 1791, Mozart riassunse i diversi piani dell’opera e ne indicò musicalmente gli sviluppi: il triplice accordo che risuona all’inizio dell’Ouverture annuncia il regno di Sarastro, ma è anche il simbolo di un’attesa e di una trasformazione che l’Adagio misteriosamente scandisce; la dinamica in cui si svolgerà l’azione è prefigurata dal fugato in cui si slancia l’Allegro, un segnale che riassume in sé l’altezza di pensiero della favola e insieme la sua vivace, immediata teatralità: la spinta verso una rotazione a trecentosessanta gradi si placa e si compie nel corale degli Armigeri sulla soglia del tempio, rivelandosi musica senza tempo né spazio, governata da leggi assolute.

VERDI – Sinfonia del Nabucco La sinfonia del Nabucco, composta a quanto risulta dalle fonti più accreditate su suggerimento del suocero e mentore di verdi, Giovanni Barezzi, pochi giorni prima che l’opera andasse in scena, ricalca il modello delle sinfonie d’opera rossiniane in due tempi con una prima parte lenta ed una seconda più veloce, seguita da una stretta finale. Nella sinfonia Verdi combina con efficacia alcuni dei motivi principali dell’opera e questa combinazione di temi differenti in un unico brano evidenzia in maniera quasi plastica la sostanziale unità dell’opera che colpisce per la coerenza  nella raffigurazione musicale dei personaggi. Il primo tema si riferisce chiaramente al popolo degli ebrei ed alla loro preghiera e cioò sottolinea il carattere religioso dell’opera, che si inscrive nella tradizione dell’“azione sacra” del Mosè di Rossini almeno quanto il messaggio patriottico risorgimentale. Alla stessa sfera religiosa va ricondotto anche il tema principale della seconda parte della sinfonia.

ŠOSTAKOVIC – Sinfonia n. 5 in re minore, op. 47., Finale  «Risposta pratica di un compositore a una giusta critica». Suona tremendo il sottotitolo apposto da Šostakovič alla Sinfonia n. 5 in re minore, composta fra il 18 aprile e il 20 luglio 1937. Il significato sottinteso a quella enunciazione: una sfida orgogliosa e sprezzante all’ottuso richiamo all’ordine del potere, sotto la quale si celava una reazione rabbiosa e un’amara coscienza critica. L’opera di depistaggio messa in atto da Šostakovič a proposito della Quinta Sinfonia comincia dal sottotitolo ma prosegue con le dichiarazioni sul programma che vi è sotteso: «Il nucleo ispiratore della mia Sinfonia è il divenire, la realizzazione della personalità umana. Al centro della composizione, concepita liricamente da capo a fondo, ho posto un uomo con tutte le sue emozioni e le sue tragedie; il Finale risolve gli impulsi del primo tempo, e la loro tragica tensione, in ottimismo e in gioia di vivere». Queste parole bastarono per far salutare la Sinfonia fin dal suo primo apparire come l’emblema dell’ottimismo sfrenato e della fiducia nel progresso imposti dall’avvento del regime stalinista. La Sinfonia si conclude con un finale, appunto, Allegro non troppo in re maggiore, in cui i toni appariscenti, positivi e ottimistici, giungono a effetti roboanti. Secondo l’autore il finale della Sinfonia doveva dare «una risposta ottimistica e gioiosa agli episodi intensamente tragici dei movimenti precedenti». Ma la soluzione che propone è una risposta ansiosa e dubbiosa a interrogativi che rimangono tutto sommato insoluti: anzi, riaffermati. Il giubilo che la pervade non è soltanto stridente, ma anche troppo platealmente esibito per essere vero. Ed è dunque qui che l’irreparabilità della tragedia tocca il suo apice: nella costrizione a doversi fingere a tutti i costi entusiasta, e nel far capire, dietro l’apparenza di un’enfasi convenzionale, quasi volgare, tutto il dramma e la protesta per questa condizione. Il pubblico al quale Šostakovič si rivolgeva avrebbe compreso il messaggio in codice della Sinfonia? Certo che l’avrebbe compreso, avrebbe capito quel che stava succedendo attorno a loro e capito di che trattava la Quinta Sinfonia. Questo, non il compromesso, era il senso del mascheramento.

Philip Sparke – Pantomime  Pantomime è una famosissima composizione per “Euphonium Solo” e banda scritta dall’inglese Philip Sparke. Il brano, di elevato virtuosismo, non entra nelle forma del concerto classicamente inteso, ma è un brano che a buon diritto, ormai da tempo, fa parte della produzione concertistica internazionale dedicata agli strumenti a fiato. Commissionato dall’ eufonista Nick Childs nel 1986, è stato pensato per mettere in risalto la lirica e le prodezze tecniche dello strumento, facendo riferimento ai vari caratteri della tradizione italiana della Commedia dell’ Arte per la sua grande espressivita emotiva.

Williams – Star Wars Saga  Il parallelismo dell’Anello del Nibelungo con Star Wars è stato portato alla luce ormai quindici anni fa dallo svedese Kristian Evensen, nel suo famoso saggio The Star Wars series and Wagner’s Ring: Structural, thematic and musical connections (che potete leggere qui in italiano). Tra i collegamenti principali ci sono la dimensione dei cicli, l’aspetto colossale, la realizzazione non lineare della storia, le identità tematiche La colonna sonora realizzata da Williams per il primo Star Wars contiene all’interno sia riferimenti della grande musica del cinema hollywoodiano che della musica sinfonica del tardo ottocento. L’approccio leitmotivico è ideale per il tipo di narrazione veloce che ha scelto Lucas per il film. La partitura del primo film è sostanzialmente d’avventura; è dal secondo che Williams dà una densità tale da far avvicinare la musica a quella dell’opera lirica. Acquisisce un respiro più ampio, fino all’apoteosi drammaturgica de Il ritorno dello Jedi.

 

 

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