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Presentazione dell’opera AIDA (a cura di Fabio D’Orazi)

manifesto-aidaAida, opera in 4 atti di Giuseppe Verdi su libretto di Antonio Ghislanzoni

“Copiare il vero può essere una buona cosa, ma inventare il vero è meglio, molto meglio”                                                     

Nel 1868, Verdi ebbe dei contatti con le autorità egiziane per comporre un’opera celebrativa, in occasione dell’ inaugurazione del Canale di Suez. La risposta del musicista fu negativa, dato che lo stesso Verdi non vedeva alcun nesso tra la rappresentazione di un dramma musicale e la costruzione di una struttura pubblica, intendendo ciò solo come un modo di apparire e di ottenere ulteriore visibilità. Due anni dopo, ci fu la svolta positiva per la composizione di Aida: l’invito avvenne ad opera di Auguste Mariette, archeologo francese e ideatore del soggetto, e Camille Du Locle, direttore dell’Opéra parigina che aveva già collaborato con Verdi per Don Carlo, con un intento differente e puramente artistico, vale a dire l’inaugurazione del nuovo teatro de Il Cairo. L’allestimento fu curato a Parigi in un momento non ideale, a causa della guerra franco-prussiana che rallentò la preparazione dell’opera, ma, nonostante ciò, Aida debuttò trionfalmente a Il Cairo, la vigilia di Natale del 1871. Verdi era assente, preferendo trascorrere, come si evince dalle sue lettere, le festività a Sant’Agata, ma curò personalmente e nei minimi dettagli l’edizione scaligera del 1872, raccogliendo un ampio consenso.

Ottenere un successo fragoroso nei teatri italiani non era banale per il Verdi di quegli anni, segnati dalle contestazioni delle correnti musicali più “moderne”, dedite ad indicare Wagner, quale operista del momento; non solo, i problemi con la censura, maturati con varie opere    -basti pensare a La Traviata e Un ballo in maschera- avevano inasprito i rapporti tra il cigno di Busseto e una parte del pubblico. Volendo fare un piccolo excursus di quindici anni, antecedenti ad Aida, Verdi ottenne in Italia un esito avverso per Simon Boccanegra e un giudizio contrastante per Un ballo in maschera, mentre, nelle altre realtà europee, la sua affermazione fu totale con I vespri siciliani e Don Carlo a Parigi e La forza del destino in Russia. Con Aida, Verdi perviene ad un successo totale, nel quale, se da una parte c’è una profonda continuità con il passato, dall’ altra viene edificato un modello quasi unitario di opera, che troverà il suo completamento in Otello, in cui Verdi si distacca sempre di più dagli schemi belcantistici, ponendo la vocalità al servizio della drammaturgia musicale.

Il concetto di parola scenica, già presente in Verdi nel Macbeth shakespeariano, venticinque anni prima, rappresenta il metro di indagine e di costruzione della “tinta” dell’opera, che in Aida ritroviamo perfettamente, in particolar modo nei momenti più intimisti del melodramma. Aida, inoltre, è la sintesi perfetta tra opera d’insieme e dramma umano, con profonda introspezione psicologica. Ai pezzi monumentali dei cori dei sacerdoti, della marcia trionfale e delle danze, infatti, si contrappone e, in certi casi, si fonde e si confonde  la realtà dei singoli, a partire da Aida, schiava con il dualismo amor patrio/amante dello straniero, fino ad Amneris, la principessa, “figlia de’ Faraoni”, che ha tutto, ma, senza l’amore, non ha niente. Radames, condottiero eroico, è il personaggio che unisce i sogni da prode guerriero a quelli di uomo innamorato. “Celeste Aida”, oltre ad essere un momento musicale suggestivo e di notevole difficoltà per il tenore, raccoglie proprio tale messaggio, reso magistralmente da parole e musica: le trombe descrivono una situazione di guerra, parallelamente gli archi ed i fiati rimandano ad un amore puro, che supera le differenze sociali e di nazionalità. In questa storia,Verdi ripropone tematiche già affrontate in altre opere, quali l’amor di patria, una passione tormentata tra due giovani, il rapporto padre/figlia ed il senso dell’onore, che condurrà Radames ad una fine spietata, malgrado gli inviti e le suppliche di Amneris a discolparsi. La musica è viva, variegata, a partire dal preludio introduttivo, passando per le romanze, i duetti, i terzetti e i pezzi d’insieme, fino a giungere alla calma della “fatal pietra”. Le premesse di Verdi e le aspettative del pubblico di centocinquant’anni fa possono essere ereditate da noi, che siamo gli spettatori di oggi, sospinti da una duplice finalità: meditare ed analizzare le realtà trasmesse da questo straordinario uomo di teatro che è Giuseppe Verdi, mediante l’ascolto di un dramma in musica, e lasciarci trasportare da un senso di arte, unico, fine a se stesso, tuffandoci interamente nel mondo della bellezza.

 a cura di Fabio D’Orazi

 

 

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